« il CAPRIOLO »
articolo di PIERO MONTI su "SPORT-MOTO" del 1952
Garretti d'acciaio, cuore a prova di bomba, giovane, una salute di ferro, le montagne ai suoi piedi, l’avvenire a portata di mano. Nacque così, all'improvviso senza particolari consultazioni, all'aria libera.
E’ una vecchia storia, una specie di favola di quelle che raccontavano le nonne di un tempo ai nipotini.
Lassù, oltre Madonna di Campiglio, tra le giogaie del Gruppo del Brenta, a 2400 metri di altezza, il Rifugio dedicato alla memoria della Medaglia d’Oro Giorgio Graffer, rimaneva spesso isolato dal mondo.
Di tanto in tanto una visita, gente che bivaccava una notte,che scaldava in fretta una tazza di caffè, e dopo aver consumato una frugale colazione, riprendeva il suo cammino, salendo e scendendo a valle. Poi per giorni e giorni la quiete, il silenzio più assoluto.
Una mattina, la mulattiera che adduce al Rifugio e i pendii chiazzati di neve, vennero scossi dal rombo prepotente di uno scoiattolo che si arrampicava con sveltezza, che superava con disinvoltura la difficoltà, che andava avanti con la noncuranza di chi sì sente veramente nel suo naturale elemento.
Poi fu la volta della Paganella, del Rifugio Battisti, del Bondone e di tante altre vette a ricevere la visita inattesa e gradita del gagliardo alpinista motorizzato su due ruote, che ovunque giungeva, portava un soffio di vita nuova, un soffio di civiltà. Aveva fatto le prove come ausiliario del ciclista, aveva superato i primi esami sul bancone di una scuola, dove gli strumenti di studio erano rappresentati dal compasso e dal regolo, dove gli esperimenti duravano ore e ore, dove bisognava spremersi per ottenere l'esame di laurea.
Guido Covi era un insegnante tremendamente severo. Eravamo nel 1948, i segni della guerra avevano lasciato ovunque tracce della violenza subita. il lavoro procedeva a sbalzi con molte incertezze. Ci volevano passione, coraggio e buona volontà, ci volevano soprattutto soldi, braccia solide e commesse per tirare avanti.
In quell'epoca, sotto la Paganella, in quel di Gardolo, c'era tutto meno i soldi e le commesse.. la situazione era tale che avrebbe fatto crollare l'intera spalliera dolomitica dalla disperazione.
Bisognava però non conoscere la tempra di uomini come il cavaliere del lavoro Giuseppe Raggio, del dottor Dario Nardelli, degli ingegneri Ugo Turazza ed Emilio Volcan, del perito industriale Guido Covi.
Dario Nardelli, Giuseppe Raggio, Emilio Volcan e Ugo Turazza - Trento - 1953 circa
Il complesso dell'Areo Caproni di Trento, che nel 1937 sotto l'impulso dell'onorevole Gianferrari, del Conte Caproni e del compianto ingegner Mario Bonanoti, era stato riportato all'altezza del buon nome industriale italiano (dal 1937 fino al termine della guerra uscirono dalle officine dell' Aero Caproni oltre mille apparecchi di almeno 30 tipi diversi con una manodopera di oltre 1500 persone), alla fine del conflitto, era praticamente agonizzante.
Le attrezzature, specialmente quelle leggere, grazie al saccheggio operato dalle truppe tedesche d'occupazione, erano completamente smantellate, i muri sbertucciati dalle bombe, le riserve di materiale completamente esaurite, i contatti col mondo industriale totalmente interrotti.
La stessa fiducia, materia prima di ogni iniziativa, vacillante.
Fu in questa atmosfera di dubbio, talvolta di incomprensione, che Giuseppe Raggio e i suoi collaboratori (nel frattempo era venuto a mancare l'instancabile animatore ing. Bonanoti), si rimboccarono le maniche, si guardarono negli occhi, serrarono i denti e senza por tempo in mezzo, diedero vita a un programma di lavoro di tale mole da far incanutire le tempie a chiunque.
Il primo compito fu quello di dar lavoro a più gente che fosse possibile e pertanto, nei saloni di lavorazione dello Stabilimento di Gardolo, passarono i più svariati prodotti.
« Se fosse stato necessario, se ce l'avessero commissionata, avremmo fabbricato anche la luna “.
Sorrideva, giustamente, Giuseppe Raggio, mentre sì rifaceva la storia dell’Aero Caproni di Gardolo. In effetti, quello di Gardolo non è uno stabilimento con operai e dirigenti, bensì una famiglia, dove tutti non hanno altro scopo che quello di produrre, produrre e ancora produrre.
Oggi, i prodotti lavorati e finiti negli stabilimenti dell’'Aero Caproni di Gardolo, percorrono il mondo ammirati e ricercati da tutti.
Non c'è da stupirsene se si osserva l'ordine, la disciplina e la buona volontà che regnano ovunque.
Un tempo, succubi com'eravamo di ogni iniziativa straniera, si guardava e sì spiava continuamente oltre confine per carpire un segreto, per adottare un sistema.
A Gardolo, negli stabilimenti dell’Aero Caproni , attualmente, i vecchi e famosi sistemi organizzativi americani impallidiscono di fronte al superbo rendimento delle maestranze, ottenuto con calcolato e intelligente studio dai Dirigenti dell'’Aero Caproni. Quantità e qualità formano un corpo unico, si fondono armoniosamente fino a dare frutti insuperabili..
Lo stabilimento di Gardolo a Trento della CAPRONI - 1953 circa
Sissignori, quasi come nella leggenda, così è rinata l’Aero Caproni di Gardolo, così è sbocciata la vecchia storia alla quale abbiamo accennato all'inizio.
« Va come un capriolo »
Nacque così, una mattina di aprile, mentre le nevi della Paganella scintillavano al sole, nacque così senza consultazioni storiche, senza studi particolari, senza tanti rompicapo.
Oggi il « Capriolo », la superba motoleggera che solca tutte le strade del mondo, è sulla bocca di tutti, è ricercata da tutti, è apprezzata da tutti.
Primi modelli di Capriolo 75 Turismo usciti dalla Fabbrica Caproni nel 1952
Fu proprio Guido Covi, che una mattina, scendendo per l’ennesima volta dalle impervie mulattiere dolomitiche esclamò: «Va come un capriolo ».
E « Capriolo » è, ribattè Giuseppe Raggio, e «Capriolo» resterà, confermarono in coro Nardelli, Turazza e Volcan. L'unico a non parlare fu Covi, aveva detto abbastanza, perché aveva battezzato il « Capriolo ».
Il « Capriolo », è lo stesso insofferente scoiattolo che aveva fatto tremare le nevi del Rifugio Graffer, che aveva scorrazzato per mesi lungo tutto l’arco delle Dolomiti, delle quali era diventato un ospite gradito e caro amico.
All'origine, il « Capriolo », era nato come motorino ausiliario (50 cc.), poi i suoi polmoni si irrobustirono, il suo occhio si fece più attento, i suoi passi si allungarono, i suoi garretti diventarono al tempo stesso come l’acciaio, elastici e scattanti come quelli di una gazzella.
Le Alpi, le montagne di ogni specie, i greti dei fiumi, le mulattiere, i sentieri per le capre divennero per il « Capriolo » come altrettante autostrade.
Nulla da allora poté arrestare la marcia del « Capriolo ».
Nato in montagna, ha conservato del montanaro tutte le prerogative dalla tenacia, alla volontà, alla robustezza, pur avendo assimilato con grande facilità le finezze e le sfumature eleganti che si addicono al prodotto uso a figurare nei luccicanti saloni d’ Esposizione delle grandi città, è altrettanto disinvolto nel superare i confronti con i suoi consimili che scorrazzano per le strade.
Non è forse stato così, anche di fronte alla Torre di Westminster a Londra, dove il Conte Caproni, lo ha portato percorrendo tutto d'un fiato il tragitto dall’Italia?
Per il « Capriolo » è stato coniato anche uno slogan, e mai come questa volta ci è sembrato
azzeccato giusto. « Il giro del mondo non lo fai se il Capriolo non ce l’hai ».
Oggi il « Capriolo », non è più un prodotto comune sul mercato nazionale e internazionale. Ne ha fatta di strada e moltissima ne farà ancora, perché quando si posseggono i suoi requisiti il bersaglio del successo industriale e commerciale non può essere fallito.
Due sono i tipi che attualmente l’Aero Caproni ha messo sul mercato. Per la verità, il tipo Sport, rappresenta una novità assoluta, in quanto solo da qualche giorno è stata iniziata la consegna ai Concessionari.
Il « prototipo », quello che nacque sulle Dolomiti, appartiene ormai alla collana dei pezzi storici, che giustamente inorgogliscono gli appassionati Dirigenti dell’ Aero Caproni.
Passato nel ciclo produttivo, derivò il tipo normale, che dal 1950 ha fatto breccia nei gusti del pubblico.
Le sue caratteristiche principali si identificano nei seguenti dati: 75 cc. di cilindrata, 4 tempi, 4 marce, valvole in testa, 6000 giri, rapporto di compressione 1:7, smontabile in ogni sua parte senza bisogno di particolari attrezzi. Distribuzione rotativa con cammes a tazza unica brevettata. Cambio a 4 marce, razionalmente studiato e rapportato per una buona prestazione, anche per le salite più ripide. Comando a pedale con leva a bilanciere. Trasmissione a catena, rinforzata con ottimo inviluppo anche sul pignone motore, avviamento a pedale, lubrificazione forzata con pompa pistone incorporata nel motore, frizione in blocco a dischi multipli, metallici, lavorati in bagno. Forcella anteriore di tipo telescopico, con molle a spirale convenientemente tarate, ruote 24 x 1,¼. I cerchi in acciaio cromato, pneumatici rinforzati, telaio in lamiera stampata, molleggio con forcella oscillante, lavorante su perno di grandi dimensioni e bronzine ad alta resistenza; ammortizzatori sistemati sotto il motore funzionanti con molle a spirale e tamponi in gomma.
Il tipo Sport differisce dal normale per la velocità raggiungibile (90 km orari), nella potenza (HP. 5,5), nel consumo (lit/ 2,2 per ogni 100 km.), nel serbatoio, che è stato portato a una capacità di dieci litri. Ha inoltre la sella biposto, il cosiddetto « sellone ».
Il prezzo, malgrado le caratteristiche diverse, è stato contenuto: L. 188.000.
« Il giro del mondo non lo fai se il Capriolo non ce l’hai »
Proprio così, perché col « Capriolo », si è certi di partire e di arrivare.
Ma il « Capriolo », non è fine a se stesso, per gli appassionati dirigenti dell’Aero Caproni. Vi è un’altra cosa, che giustamente inorgoglisce dirigenti e maestranze in quel di Gardolo.
All’origine, la vita della « Caproni » era nel cielo cosicché, anche la rinnovata Aero Caproni, non poteva estraniarsi dalle vicende dell'industria aeronautica.
A Gardolo, nelle Officine dell’Aero Caproni, sì fabbrica l’unico apparecchio-scuola a reazione che venga attualmente costruito in Italia.
Trattasi dell’F-5, che ha dato tali risultati da sbalordire i tecnici e gli esperti di tutti i paesi, che hanno assistito alle prove di collaudo.
L’AC.T.F-5 è un biposto a reazione, ad ala bassa a sbalzo, con carrello triciclo retrattile, concepito e realizzato per dar vita ad un mezzo di addestramento-scuola economici, e in modo da rispondere alle particolari esigenze di preparazione dei piloti all'impiego delle macchine a reazione.
Due sono i complessi industriali dell'Aero Caproni, uno a Gardolo, (Trento) , l'altro ad Arco.
Dissimili nella struttura, hanno entrambi una identica funzione: concorrere a rendere sempre più perfetta la produzione, realizzare sempre più, fare in modo che il nome « Aero Caproni » non rimanga una fiaccola del passato ma un faro per l'avvenire.
Mete facilmente raggiungibili quando si hanno la fede, la passione e la costanza degli uomini che oggi hanno in pugno le sorti del superbo complesso industriale.
Non c'è da stupirsi, quando si pensa che ad Arco, fin dalle lontane origini dell’Aero Caproni, ha sempre funzionato una scuola per le maestranze.
Fin dal 1938, infatti, ragazzi digiuni di ogni nozione tecnica, venivano accolti e istruiti in lunghi corsi teorici (non meno di un anno), quindi passati ai corsi teorici pratici, e successivamente trasferiti presso stabilimenti, dove potevano completare la loro esperienza e affinare le loro capacità.
Un’autentica scuola della durata di 4 o 5 anni.
Ecco il segreto della raffinata produzione dell' Aero Caproni, ecco la ragione per cui i prodotti della grande industria trentina una volta abbandonata la catena di montaggio, hanno una sola bolletta: « quella d'uscita », perchè non si dà mai il caso che un «Capriolo » o un « F-5 » rientrino alla base perchè ritenuti insufficienti alla loro funzione.
« Va come un capriolo », esclamò nel lontano 1948 Guido Covi.
Giacobelli, Semenzato, Rossi, Setti, La Croce, Galliani, Suzzi, Maranghi, Tamarozzi, Zin, Travaglini, giovani e anziani centauri, amano «Capriolo » come un amico, meglio, come un fratello.
Chi meglio dei corridori può apprezzare le doti di una motoleggera come il « Capriolo » ?
Purtroppo, ci diceva Giuseppe Raggio, non c'è più tra noi il buon Perini, perito tragicamente mentre collaudava il « Capriolo ».
Ma Perini non si è sacrificato invano.
«Il giro del mondo non lo fai se il Capriolo non ce l’hai ».
E’ un ritornello che echeggia allegramente non soltanto sotto le Dolomiti, ma in tutte le contrade del mondo.
PIERO MONTI
Giuseppe Perini - Arco 1952
Aero Caproni - Capriolo 75 Turismo